Comune di Lapedona

Lapedona è un comune italiano di 1 191 abitanti della provincia di Fermo nelle Marche.

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Descrizione

STORIA DEL COMUNE:

Reperti di età picena e romana testimoniano una intensa colonizzazione del territorio fin dall’antichità.
Con i Longobardi si estende la presenza dei benedettini, soprattutto dell’Abbazia di Farfa, e si accresce gradualmente l’autorità del vescovo di Fermo: in tutto il territorio della Marca Fermana sorgono pievi, corti e castelli feudali.
Il più antico codice dell’Archivio di Fermo, il Liber Jurium Episcopatus Firmi, noro come “Codice 1030”, contiene documenti che ci danno notizie sui due castelli di San Martino e di Saltareccio.
La prima volta che compare il nome di Lapedona è in un documento del 1148: il vescovo di Fermo, Liberato (1128-1150), conferma all’eremo di Santa Croce di Fonte Avellana (PU) il possesso di chiese e beni nella diocesi fermana, tra cui la chiesa di San Quirico intra castellum qui dicitur Lapidona.
Non si hanno documenti che attestino il periodo di fondazione dell’attuale centro abitato. Tuttavia, nessuna delle chiese presenti all’interno dell’attuale paese risulta negli elenchi delle decime prima del 1299; solo nel 1302 si ha notizia della chiesa di San Giacomo e una lapide, ricordata nelle relazioni di visita pastorale del 1728 e del 1842, attestava che la costruzione della chiesa di San Giacomo era stata ultimata nel 1321.
Alcuni studiosi ipotizzano che l’originario castello di Lapedona  inglobasse la chiesa di San Quirico e che, agli inizi del Trecento sorse l’attuale centro storico, con il fenomeno dell’incastellamento e il trasferimento dei titoli rurali delle chiese.
Il castrum Lapidone figura nell’elenco dei castelli che Aldobrandino d’Este, marchese di Ancona, assegna alla città di Fermo il 10 giugno 1214 “cum hominibus in dictis castellis habitantibus et eorum podiis et villis”, ma l’effettiva dipendenza di Lapedona (e dei castelli vicini) da Fermo è da riferirsi piuttosto la 1238 quando il vescovo-conte di Fermo Filippo II affida al comune tutte le proprietà della chiesa, dal fiume Potenza al Tronto.
Da quell’anno Lapedona diviene castello della città di Fermo e ne segue le alterne vicende.

 

TIPICITA':

 

VINO COTTO

Il vino cotto racconta la storia del fermano, del piceno e del maceratese, territori delle "Marche del sud": è capace di fondere in un incantevole insieme di sapori, l'ambiente, i vitigni, la storia, la tradizione e la cultura di questa nostra terra.È un prodotto tipico del territorio e ad esso fortemente legato per le caratteristiche ambientali (pedologiche, climatiche) e per la tecnica di produzione, tramandata di padre in figlio per generazioni e generazioni. Basti ricordare che, per ogni figlio nato si accantonava una piccole botte in cantina, da consumarsi non prima del raggiungimento della maggiore età e in particolari liete occasioni, come il matrimonio.


Inoltre, il vino cotto, rappresentava per ogni famiglia il segno dell'ospitalità. Era sempre sulla tavola nelle occasioni migliori e usato frequentemente come rimedio nella cura dei malanni tipici della dura vita di campagna.
Il prodotto viene consumato come un normale vino da tavola, ma è più spesso utilizzato come vino da dessert, e presenta una gradazione alcolica elevata. Si distinguono due tipologie, una secca ed una dolce caratterizzata dalla presenza di residuo zuccherino. Colore variabile dal rosso al rosso ambrato, odore intenso e caratteristico, al gusto si presenta di corpo, con percezione di caramello nella versione dolce. Il retrogusto è sapido. La produzione di vino cotto è nota fin dai tempi remoti.
Nel 191 a.C. viene citato da Plauto, nella commedia "Pseudolus", fra le bevande da mescere in un lauto banchetto. Nel I secolo d.C. Columella, nella sua opera “De Agricoltura, libro XII, scrive: “... fino a diminuzione di un terzo si cuocia del mosto di sapore dolcissimo; quando è cotto si chiama defruntum. Esso appena raffreddato si trasferisce nelle botti e si ripose per usarne”. Plinio il vecchio, nella sua “Storia naturale” riporta quanto già detto da Plauto e classifica il vino cotto tra le più ricercate bevande dolci prodotte in Italia, affermando che “... i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino”. Nel 1534 Santa Lacerio, bottigliere di Papa Paolo lii, esalta la bontà del vino cotto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato nel rito sacrifica le della S.Messa.

Anche Andrea Bacci nel suo testo "De naturali vinorum histoira italiae" del 1596, nel capitolo XV del Libro I, descrive la produzione del vino cotto e della sapa. I due autori fanno riferimento del vino cotto dell'Area Picena. Negli ultimi anni numerosi autori citano il vino cotto in diversi scritti, decantandone certe proprietà. In un testo del 1971 Mario Soldati descrive, di passaggio ad Ascoli Piceno, l'assaggio di un vino cotto di 60 anni, prodotto dall’Ing. Cimica, pur con una certa diffidenza: " ... come vino da dessert lo trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o marsalati."
Anche Guido Piove ne e Luigi Veronelli esaltano la gradevolezza del vino cotto, anzi quest'ultimo lo descrive: ".. vuole meditata attenzione che tu non ceda all'impulso primo, e l'intenda non più come vino, ma come ricetta. Ti si fa allora subito gradevole; ci senti viva la tradizione, il bisogno di una contadina riserva".

 

 

GNOCCHI

Gli gnocchi sono un cibo antichissimo, preparato con diverse ricette e farine differenti: farina di frumento, di riso, di semola, con patate, pane secco, tuberi o verdure varie.La stessa ricetta a base di patate, farina, uova e sale, è stata tramandata di padre in figlio con un ritocco alla forma dalla originaria "pallina'', mentre il condimento in duplice versione, ragù e panna e salvia, è stato proposto sin dalla prima manifestazione della Sagra che ogni anno si svolge a Lapedona.

I fondatori della sagra scelsero lo gnocco per l'originalità rispetto ai paesi vicini e, a memoria d'uomo, la nostra sembra essere stata la prima Sagra degli Gnocchi delle Marche, ormai talmente nota da essere l'evento estivo principale del programma della Pro Loco di Lapedona
La storia degli gnocchi di patate ha inizio quando vennero importate in Europa le prime patate provenienti dal continente americano. Gli altri tipi di gnocchi comparvero dapprima nei banchetti rinascimentali della Lombardia; venivano impastati con mollica di pane, latte e mandorle tritate e venivano chiamati zanzarelli. Nel Seicento invece subirono un lieve cambiamento nel nome e nella preparazione. Venivano chiamati malfatti e invece delle mandorle e del pane veniva aggiunta farina, acqua e uova.
A partire dal 1880 si diffusero a macchia d'olio gli gnocchi di patate, primo vero antenato di quelli attuali.

 

LE PESCHE DELLA VALDASO

Nel panorama frutticolo regionale la realtà della Valdaso rappresenta uno dei siti più importanti per il settore ed è anche una delle risorse che più caratterizzano questo territorio. La coltura del pesco ha una posizione di dominio assoluto, insieme alle albicocche e prugne: nella tarda primavera, in tutta la valle si coglie un tono dominante, quello rosa, fucsia o rosso dei peschi in fiore, che fa da contrappunto all’intenso verde della campagna.
Accanto a questa copiosa produzione esiste un’attività di trasformazione artigianale e industriale che produce confetture, marmellate e frutta sotto sciroppo o alcol. Oltre alle coltivazioni intensive ed estremamente razionalizzate esiste anche per la pesca una presenza d’antiche cultivar ormai rinvenibili in terreni coltivati da proprietari che tenacemente proteggono i biotipi autoctoni per ragioni sentimentali o più semplicemente per mantenere una armonia del gusto. Dopo la raccolta sono conservati (almeno nella semplice, tradizionale ma efficace tecnologia contadina) in cassette di legno intervallate a strati di paglia.
 

In base alla presenza della tomentosità e alla colorazione della polpa, le pesche sono distinte in varie tipologie:
- Pesca classica con buccia tomentosa e pasta gialla e/o pasta bianca
- Nettarine, comunemente chiamata pesca noce, con epidermide liscia a pasta gialla e pasta bianca
- Percoche, normalmente usate per la conservazione in vaso

Le più diffuse, sono sicuramente le pesche classiche a pasta gialla seguite della nettarine a pasta gialla. Poco diffuse invece la tipologia a pasta bianca.
Notevole l’assortimento varietale presente nel territorio, che consente di garantire una produzione per tutta la durata della stagione estiva.

Tra le cultivar (così sono definite le diverse varietà) più diffuse, sono da segnalare la Royal Glory, la Elegent Lady, la Spring Belle e la O’Enry tra le pesche a pasta gialle, la Big Top, la Venus e la Nectaross tra le nettarine a pasta gialla.


La pesca della Valdaso trova condizioni ambientali particolari, che ne esaltano notevolmente le caratteristiche organolettiche e qualitative. I frutti risultano assai gradevoli al gusto, ricchi di vitamine e sostanze antiossidanti, indispensabili per il nostro organismo.
 

Modalità di accesso:

Accesso libero a tutti.

Indirizzo

Contatti

  • Telefono: 0734936321
  • Email: lapedona@ucvaldaso.it
  • PEC: lapedona@pec.ucvaldaso.it

Pagina aggiornata il 21/11/2023